Gli animali provano emozioni?

Una delle scoperte più rilevanti sul tema delle emozioni nel mondo animale è stata quella delle cellule fusiformi, una classe di neuroni tradizionalmente associata all’elaborazione dei sentimenti nell’uomo, nelle scimmie del vecchio mondo, nei macachi, negli elefanti e nei cetacei (Patrick Hof e Estel Van Der Gucht le hanno rilevate nel 2006 mentre esaminavano il cervello di una balena). I principali studi in merito all’empatia animale riguardano i primati, per la vicinanza genetica ed evolutiva all’uomo, ed hanno portato a rilevare tratti empatici ed altruistici che comunque si rilevano anche in altre specie (ad esempio sugli elefanti la maggior parte degli studiosi è concorde nell’attribuir loro grandi caratteristiche empatiche, che gli consentono di avvertire lo stato emotivo dei componenti del loro gruppo sciale). Parlare di emozioni e sentimenti negli animali non umani però è considerato un errore da alcune correnti del pensiero scientifico (nonostante i precedenti sul tema di Darwin, Goodall, Bekoff, Lorenz..), che si rifanno ad un approccio behaviorista: gli stati mentali interiori non sono un possibile oggetto della scienza, anzi è il distacco emotivo a permettere l’indagine scientifica e quindi oggettiva. A questo filone si affiancano poi quei negazionismi che, rifacendosi ad un canone di Morgan portato al suo estremo, arrivano ad un riduzionismo fisiologico che nega ogni altra dimensione, che viene quindi declassata come illusoria ed aneddotica.
In verità l’etologia narrativa ha un grande valore e le testimonianze date dalla pura osservazione si affiancano a quelle che sono le prove scientifiche. Ci si avvale di un approccio aneddotico (G. Romanes) raccogliendo evidenze tramite racconti riportati in maniera accurata da osservatori autorevoli, usati per attribuire ad una specie una data facoltà cognitiva o emotiva, dati che poi vengono confrontati con quelli di altri osservatori indipendenti.
Un altro contributo importante, spesso sottovalutato, è dato dall’etologia del gioco, che ci mostra come molti animali siano capaci di empatia: il gioco è importantissimo per la socializzazione (anche per quanto riguarda l’aspetto della ritualizzazione) e per l’apprendimento cognitivo e motorio, è un’attività fondamentale per la costruzione della struttura emotiva dell’individuo e per lo sviluppo della sua personalità e del suo posizionamento sociale.

Riprendo una parte della pagina sull’Etologia Equina di questo sito, secondo me centrale.

Parliamo un momento di emozioni negli animali. Noi per primi lo siamo: siamo mammiferi e condividiamo con gli animali non umani parte del nostro patrimonio genetico. L’eterospecifico presenta probabilmente emozioni di tipologia diversa, strutturalmente o solo nelle sfumature, che restano per noi incomprensibili e indefinibili tramite il linguaggio umano, limitato in quanto inevitabilmente antropocentrato. Non si può prescindere da questo, ma essendone consapevoli credo sia possibile fare un discorso attorno al mondo emozionale degli animali non umani ed oltre al puro ragionamento credo che la chiave sia aprirsi all’empatia. Oltre che possibile lo ritengo utile: così come le differenze, è importante sottolineare le affinità (omologie ed analogie) con le altre specie, immedesimandoci per quanto e il più possibile nel loro punto di vista; ciò contribuisce al processo antropodecentrante di “deep ethology”, introdotto da Mark Bekoff. La realtà è relativa, siamo portati a misurare l’altro su noi stessi, ed è questo a condurre all’antropomorfismo, ad attribuire cioè caratteristiche e scale di valori prettamente umane ad altri animali: tutto ciò che sentiamo lontano da noi viene posto sulla nostra scala gerarchica in posizione inferiore. Per questo, riconoscere nell’eterospecifico un soggetto, oltre a mero rappresentate di una data specie, ci aiuta a non cadere nell’errore di togliere valore ad un comportamento che altrimenti sentiremmo distante da noi (leggendolo ad esempio solo come mosso dall’istinto), rispetto a qualcosa che percepiamo come affine (e che quindi vediamo come mosso da sentimenti che conosciamo, come nel caso dell’amore). Diviene dunque necessario ragionare sull’espressione comportamentale contestualizzata. Per fare questo non ci si può affidare allo spontaneismo, che spesso viene letto come autenticità: la premessa fondamentale è anzi data da una profonda conoscenza dell’etogramma specie specifico dell’animale che osserviamo, dallo studio filogenetico ed ontogenetico, così da saper decodificare la comunicazione con i conspecifici e non, quelle che sono le dotazioni e motivazioni di specie che poi si declinano nel particolare di ogni individuo. Questa conoscenza apre la possibilità di creare un ponte tra il nostro lato emozionale e quello degli animali non umani, rispettandone la diversità ma riconoscendo anche una concordanza, che possiamo spiegare solo tramite definizioni umane, ma che riusciamo ad imparare a percepire attraverso l’empatia.