Approccio didattico con i bambini dell’Etologia Relazionale

Il punto di partenza nella didattica con i bambini dell’Etologia Relazionale è, anzitutto, essere consapevoli della responsabilità di cui si è investiti nel momento in cui si presiede alle complesse dinamiche che coinvolgono soggetti in “svantaggio” rispetto a noi, che dipendono cioè dalle nostre decisioni e capacità di essere mentori e mediatori. Mi riferisco ai bambini e all’animale non umano che andiamo a coinvolgere. L’eterospecifico è appunto diverso, sente e comunica in modo differente, dunque non si può che partire da una solida base di conoscenza dell’etogramma di specie. A questa va affiancato un ascolto empatico, incoraggiando per primi proprio i bambini ad usarlo, invitandoli a seguire la loro “voce interiore” e dando valore e peso alle loro intuizioni nell’esperienza di relazione con l’alterità animale. Bisogna agevolare la connessione empatica con l’altro, che non è la semplice simpatia, ma significa comprenderlo nella sua soggettività ed unicità, favorendo l’attivazione sul piano emozionale e aiutando a leggere nell’altro qualcosa di loro stessi, ad esempio attraverso semplici paragoni. Con un’attenzione consapevole i bambini sanno “intuire” le intenzioni di un animale non umano, se siamo riusciti ad insegnare il contenimento emozionale durante l’incontro con l’eterospecifico. Il lato emozionale è fondamentale: il ricordo di un evento porta sempre con sé l’emozione che lo ha caratterizzato, dunque diventa cruciale che vi sia una marcatura emozionale positiva, possibile solo in un giusto clima di equilibrio tra lo stato di eccitazione/curiosità e di calma/fiducia. Solo imparando a leggere l’alterità animale e conoscendola nella sua diversità possiamo rendere l’incontro con essa soddisfacente e fonte di gioia.

Come insegnare questo ai bambini?

Partendo dalla curiosità, sia la nostra che loro, nutrendola con proposte che siano a “misura di bambino”: proponendo avventure, giochi, stimolando l’innata biofilia, ad un ritmo che non lasci indietro nessuno, in un clima di collaborazione invece che di competizione. Il bambino deve sentirsi coinvolto senza forzature e questo è possibile facendo leva sulle sue motivazioni personali, che lo facciano sentire parte, in prima persona, dell’esperienza che stiamo proponendo. D’altra parte educare significa questo, portare fuori, sviluppare quello che di autentico c’è nel bambino, non solo introdurgli informazioni che assorba in modo passivo, non essendo poi in grado di rielaborarle a suo modo. Qui entra in gioco la capacità di essere dei punti di riferimento per il bambino, dei referenti di cui si possano fidare e da cui possono lasciarsi guidare, quando magari si trovano a provare emozioni tanto forti da non sapere come gestirle; quando i bambini incontrano l’animale non umano la loro soglia di attenzione/eccitamento si alza e, se non siamo preparati nel gestire l’evento relazionale e le sue dinamiche, si può andare incontro a diverse derive: la percezione dell’animale si distanzia da quello che è in realtà, si rischia di reificarlo, di proiettargli aspettative proprie, non riconoscendogli la sua individualità, arrivando a poter rendere l’incontro destabilizzante, frustrante e deludente, pieno di incomprensioni e fraintendimenti. Il rapporto tra bambini e alterità animale non è intuitivo, non si può lasciar spazio allo spontaneismo, dunque diviene fondamentale la guida del mediatore che lo faciliti, attraverso quella che si chiama “triangolazione”: colui che media e fa da mentore ha costruito anzitutto una profonda relazione, fondata su conoscenza e fiducia reciproca, con l’animale non umano che farà incontrare al bambino; questa relazione viene resa disponibile al fruitore aprendo una nuova connessione tramite l’empatia operante. I benefici che si possono trarre da una corretta relazione con l’animale riguardano nel bambino gli aspetti legati alla sua autostima, alle abilità comunicative, alla creatività, all’empatia ed equilibrio emotivo, alle capacità sociali, ad una maggiore consapevolezza corporea, arrivando fino al poter sviluppare la sua curiosità verso il “diverso” e verso la biologia, l’etologia e l’ecologia. L’incontro con l’eterospecifico stimola l’espressione delle emozioni, il coinvolgimento del soggetto tramite l’ingaggio motivazionale, stimolandolo alla proattività. Il ruolo di mentore/mediatore diventa essenziale, significativo nel guidare e favorire il percorso evolutivo del bambino e orientarlo nella relazione con l’animale non umano, sapendolo osservare e leggendo le dinamiche. Deve saper ascoltare attivamente ed empaticamente, conoscere l’etogramma comportamentale dell’eterospecifico e avere una relazione con lui e con il bambino, conoscendo le loro peculiarità soggettive, le motivazioni specie specifiche ed individuo specifiche, i modi comunicativi e i modi di sentire di entrambi, calibrando le informazioni e i modi in cui effettuare le proposte, a misura degli individui coinvolti. Per questo motivo non ci sono percorsi o metodi standard, anzi la difficoltà e responsabilità sta proprio nell’essere presenti emotivamente e razionalmente nel qui e ora, valutando il contesto e il momento relazionale di volta in volta, sempre alla luce delle basi di conoscenza che devono rimanere solide, riuscendo però a muoversi nelle sfumature. Si richiede dunque un equilibrio tra ragione, mondo emotivo e conoscenze. La formazione è un momento importante, e il rapporto con gli animali influenzerà le modalità che il bambino utilizzerà nel rapportarsi all’alterità, animale umano o non umano che sia, formando così la propria identità.

“Triangolazione” in Empatia Operante

La triangolazione è la modalità centrale attraverso cui si esprime l’Empatia Operante, ed è una dinamica che agisce facendo leva su due aspetti fondamentali: fiducia ed empatia. Abbiamo tre soggetti: l’animale, il fruitore e il mediatore (OER). Quest’ultimo mette a disposizione e in condivisione la profonda relazione che ha costruito con l’animale non umano che sceglie di coinvolgere, relazione che si fonda su fiducia e conoscenza reciproche. La fiducia in questo processo è indispensabile: è tramite questa che vengono veicolate quelle emozioni che si attivano nel momento in cui la relazione tra il mediatore e l’eterospecifico viene resa disponibile al fruitore (bambino o gruppi di bambini ad esempio).
Tramite questo processo si aprono nuovi canali comunicativi e percettivi che attraverso l’empatia legano i soggetti. Il ruolo dell’alterità animale è altrettanto importante, poiché non si guarda a questa nei termini di ciò che può fare in senso stretto, piuttosto ai contributi offerti dalle soggettività coinvolte e dalle dinamiche relazionali innescate, che vanno poi a creare quella comunicazione e quel rapporto così rilevante che viene a stabilirsi tra fruitore ed eterospecifico, facilitato e mediato dall’OER. L’animale non umano non ricopre un ruolo dato da un addestramento o dall’utilizzo di un metodo, ma ha valore in quanto soggetto attivo che pensa e prova emozioni e che nell’evento relazionale contribuisce ai cambiamenti e agli effetti che interessano tutti gli individui coinvolti. È lui a indicarci i tempi e i modi di relazione e a condurci ad una visione più chiara sullo scambio che avviene in questo processo. Sta al mediatore saper veicolare queste potenzialità, tramite l’ascolto attivo ed empatico. Come già sottolineato la relazione ha un valore centrale, ed è da questa che discendono i contributi e i vantaggi dell’interazione, non dall’animale stesso. Vorrei chiudere con una riflessione sulla mediazione, che è nata dall’osservazione di un video di Rachele Malavasi (etologa e referente scientifico per la SEE – Scuola di Equitazione Etica). Link video: https://youtu.be/M8mqdWknNWo Il video in questione riprende alcuni momenti del processo di inserimento di un nuovo cavallo in un branco. Il branco è composto da diversi soggetti, ognuno dei quali con competenze differenti. Ad un certo punto (circa dal minuto 16:05) possiamo notare come l’arousal di alcuni di questi si alzi molto, quasi tutti i cavalli infatti si attivano in modo significativo. Tra tutti vediamo però una cavalla (la grigia del video) che si dimostra particolarmente competente nella dimensione sociale. Percependo l’emotività eccessiva dei suoi compagni e pur non provandola lei per prima, la fa propria (la ricalca) per cercare di orientarla e permettere ai compagni di sfogarla in un’altro luogo ed attività, contestualizzandola meglio. Si fa perciò seguire in uno spazio più ampio ed adeguato, tornando subito dopo allo stato emotivo che aveva poco prima, proprio perchè probabilmente quell’emozione così forte non era sua. Ecco io credo che, al di là di ciò che si possa o meno dire da questo video, e tralasciando il fatto che ovviamente si tratta di provare ad interpretare delle evidenze comportamentali il cui significato non è certo, credo che letto in questo modo questo comportamento sia esplicativo del ruolo che può avere un mediatore. Non solo: credo che la mediazione abbia a che fare con il contagio, ma non esclusivamente nel senso comune per cui il bravo mediatore debba essere in grado di saper contagiare e coinvolgere gli altri. Ma anche e soprattutto che sia capace di farsi contagiare dallo stato emotivo altrui, per farsi portatore e guida nell’orientare quell’emotività, in modo da riportare a quell’equilibrio che il branco ricerca, e che non è una dimensione statica, ma piuttosto una continua una conquista.