Approccio cognitivo-relazionale

Conoscere per riconoscere

Prima ancora che all’individuo, bisognerebbe avvicinarsi all’animale cavallo con cognizione. L’etogramma (ovvero il repertorio comportamentale) specie-specifico andrebbe ben conosciuto, per non correre il rischio di antropomorfizzare l’animale, cucendogli addosso scale di valori ed interpretazioni che sono a misura d’uomo. Non si può prescindere dunque da uno studio approfondito, poiché “lo spontaneismo non è affatto autenticità di relazione” (Montagnani A., Relazione Etica con il Cavallo). Tanto l’etogramma di specie può essere di difficile indagine, mai definitiva perchè sempre in evoluzione, quanto ancor più quello individuo-specifico, che è unico ed irripetibile. Questa deve essere la base, il punto di partenza da cui iniziare, tenendo bene a mente che ogni dinamica è da inscriversi in una cornice contestuale piena di variabili di cui tener conto, che concorrono in diverse misure a rendere unica ogni esperienza di relazione. 

APPROCCIO COGNITIVO RELAZIONALE 

Posso davvero ridurre il carattere e il comportamento di un cavallo ad una risposta istintiva o al risultato di mero condizionamento, trascurando sfera emotiva, umore, motivazioni, rappresentazioni, esperienze e competenze del soggetto? Potrò forse prescindere dalla sua rete relazionale e dal contesto in cui vive, considerando quanto questi elementi lo tocchino e cambino intimamente? Per evitare di comporre un disegno fuorviante di una situazione o fenomeno, andando a riempire gli spazi vuoti con interpretazioni arbitrarie, è utile indagare anzitutto le relazioni tra gli elementi oltre che i singoli soggetti. I fenomeni complessi (come il comportamento o la comunicazione tra individui o gruppi) spesso non rispondono a logiche lineari e prevedibili. Una visione olistica tiene conto dello sguardo d’insieme, che non è riducibile alla sola somma delle parti che lo compongono.

È con l’etologia cognitiva che inizia a cambiare radicalmente lo sguardo sul comportamento animale, che non è più letto in chiave di automatismi, come risultato di istinti innati o reazioni a stimoli, né come apprendimento per condizionamento. Si rifiuta l’idea di animale visto come struttura meramente meccanicistica, rispondente in maniera determinata ad un algoritmo prevedibile e semplicistico. Con l’approccio cognitivo il comportamento diviene invece espressione degli stati interni del soggetto, per cui entrano in gioco le dimensioni emozionali e motivazionali, così come le rappresentazioni e rielaborazioni individuali.

Se volete approfondire, vi lascio l’articolo in cui parlo dell’Etologia filosofica di Roberto Marchesini, una lettura un po’ ostica soprattutto per chi non mastica questi temi, ma che pone l’importante questione dell’animalità come soggettività animale che non coincide con la coscienza, in quanto “non è necessaria la coscienza per essere soggetto e manifestare un comportamento soggettivo”, anche perchè “se la soggettività resta confinata in un pensiero interno, linguisticamente organizzato e pertanto traslabile a un’altra soggettività interna, non è possibile ammettere il non umano a tale dominio”. Questo è il grande limite che pone un muro tra l’essere umano e le altre specie, la barriera da abbattere per ricongiungerci con l’alterità.

Per sviscerare meglio tutte queste tematiche consiglio di leggere i diversi lavori dell’etologo Roberto Marchesini, fonte inesauribile di risorse importantissime per la scrittura di ogni pagina di questo sito, così come della base teorica a fondamento dell’approccio cognitivo-relazionale e della zooantropologia.